Durante questi mesi di pandemia abbiamo interrotto la pratica di gruppo dell’Aikidō. Ognuno di noi ha continuato ad allenarsi nella propria quotidianità, ognuno con i suoi modi e i suoi tempi. La pratica dell’Aikidō da soli è fondamentale per imparare a coltivare il proprio Ki, per crescere nella disciplina, per mantenere quel ritmo che altrimenti ci allontanerebbe dalla via. In questo ultimo anno mi sono dedicata con attenzione alla pratica dell’Aikidō in solitaria, in questo la pandemia è stata un’occasione di crescita mettendomi di fronte alla necessità di trovare nella giornata lo spazio per l’allenamento. Ho imparato a trovare quel ritmo quotidiano che non ero mai stata capace di rispettare abituata alla routine del dojo. Rimane però in me una parte di insoddisfazione, praticare da soli è bello e importante ma mancano alcune cose che potevo trovare solo nel dojo insieme ai miei compagni. Ovviamente mi manca il contatto, ma non solo quello, mi manca la sensazione di venire proiettata, mi manca l’uke, la sensazione che provi quando sei dentro una linea di forza e non devi perdere il tuo centro pur unendoti.
Negli anni che ho trascorso andando a praticare dal M° Silvio Giannelli, il tatami del dojo Shinkokyu era sempre popolato di un nutrito numero di cinture nere e di praticanti motivati e vigorosi. Quando ho iniziato il mio percorso nell’insegnamento ho continuato ad andare ogni settimana a lezione presso il dojo Shinkokyu, non solo perché ritenevo fondamentale continuare a formarmi con il M° Silvio Giannelli ma anche perché sentivo impetuosa la necessità di immergermi nella pratica. Per me quel tatami era come una piscina dove tuffarmi insieme agli altri e da cui uscire stanca, sottosopra ma felice perchè “pulita”. L’Aikidō è misogi, ci insegna O’Sensei, e chiunque sia mai salito su un tatami potrà confermarlo.
In quest’anno di pandemia l’immersione in questa “piscina” mi è mancata tantissimo. La pratica in solitaria non riesce veramente a supplire a tutte le sensazioni che provo su un tatami affollato. È per questo credo, ma senza rendermene veramente conto, che a settembre, sul finire della prima estate di pandemia, mentre guardavo con timore all’arrivo di un inverno tra quattro mura ho seguito un desiderio profondo che coltivavo da sempre e mi sono iscritta a un corso di surf.
Sono un amante del mare e ho sempre giocato con le onde fin da bambina. Durante quest’ultima strana estate nei giorni di mare mosso ho trascorso ore intere sotto il sole tra i cavalloni. Avevo sempre pensato che il surf non fosse alla mia portata: per me, cittadina romana, ben lontana dalla west coast… impossibile. Poi quasi per caso ho scoperto che a Ostia esiste la Ostia Surf School, frequentata da un nutrito gruppo di appassionati di tutte le età. Così è iniziata l’avventura che mi ha portato a correre alla spiaggia in qualunque giorno della settimana, con qualunque temperatura purché ci fossero le onde! Indicibile la gioia!
Paura? Sì ovviamente paura, quando entri nell’acqua gelida e tenti di raggiungere la line up mentre i cavalloni ti schiaffeggiano uno dopo l’altro e quando pensi di avercela quasi fatta vieni travolta e torni al punto di partenza… Paura quando l’onda buona arriva ma improvvisamente ti accorgi che è davvero molto alta… più di quanto ti immaginavi… Paura da fermare il respiro, letteralmente, quando finalmente ne hai presa una (molto probabilmente perché la maestra ti ha aiutato dandoti una spinta) e invece di cavalcarla precipiti nel “tombino” (termine “tecnico” che sta ad indicare il fatto che cadi davanti all’onda che ti travolge). Quando l’onda ti travolge il respiro si blocca, per un attimo vai nel panico, poi riemergi… Risali sulla tavola e riprovi… Un po’ la stessa paura che comunque hai sempre provato entrando in un keiko particolarmente sostenuto o attaccando il maestro quando ti chiama come uke. Attacchi con sincerità, offri la tua linea, e molto probabilmente ti ritroverai cappottata lungo il tatami…
Poi un giorno, forse era gennaio, travolta da un’onda mentre provavo a cavalcarla ho rilassato tutto il corpo e ho lasciato che seguisse il movimento. Invece di agitarmi in posizioni innaturali mi sono capovolta a 360° gradi, proprio come in una caduta di Aikidō e un attimo dopo ero già con la testa fuori. Non è stato molto diverso dalla sensazione che ebbi ricevendo da principiante la mia prima proiezione per mano del M° Renato Tamburelli presso il Takehaya Dojo di Roma, senza sapere come mi ero capovolta e ritrovata intera. Il divertimento era solo cominciato.
Penso che in questi tempi di distanziamento forzato dagli altri umani il mare sia diventato il mio compagno di pratica, il mio uke e il mio tori. Le onde mi danno la linea, devo imparare a sentirle mentre si formano, a percepirle senza guardarle a capire che direzione e che forza prenderanno e a unirmi a loro per cavalcarle. Durante una lezione di surf il maestro ci spiegava proprio quanto fosse importante percepire le linee di forza del mare: sentire la velocità e la direzione dell’onda e trovare il tempo giusto per unirsi.
Clayton Naluai Sensei, allievo diretto del Maestro Koichi Tohei e fondatore della Lokahi Ki Society delle Hawaii, negli anni 50 era membro di un gruppo musicale piuttosto in voga in quel perido, i “The Surfers”. Nel 1958 Clayton Naluai Sensei venne invitato ad assistere a una dimostrazione di Aikidō e incontrò per la prima volta Koichi Tohei Sensei inviato da O’Sensei a portare l’Aikidō nel mondo.
Un allievo di Clayton Naluai Sensei, Jimmy Toyama, racconta: “Quando Clay arrivò, Tohei Sensei lo invitò sul tatami. Chiese a Clay se sapeva fare le cadute. Clay annuì e Tohei Sensei procedette a condurlo intorno al tatami, poi lo lanciò in aria. Clayton mi disse che volare in aria come aveva appena fatto era come essere in un ‘wipeout‘ mentre faceva surf. Spiegò che la proiezione non era dura, era più simile a un dolce rotolare, proprio come in un ‘wipeout‘. Clay si chiedeva come avesse mai potuto Tohei Sensei ricreare quell’esperienza in lui.”
Qui si chiude il cerchio e torniamo al principio della nostra riflessione: se mai vi dovesse mancare un uke durante questi mesi di distanziamento forzato non disperate, i principi dell’Aikidō sono tutti intorno a noi e ogni elemento della natura è un degno compagno di pratica, sicuramente un senpai se non, molto più probabilmente, un vero maestro.
Buon allenamento!
Fonti:
https://mindfulhawaii.org/the-surfers-to-aikido-clayton-naluai/